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agile
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11 maggio 15

Di cosa parliamo quando diciamo startup

Il termine startup è ormai buzzword da parecchio tempo: incontriamo molti potenziali clienti che utilizzano questa parola per descriversi. Come ogni buzzword che si rispetti spesso viene abusata… ma il rischio più alto è quello di associarla a modus-operandi e strategie totalmente inappropriate alla natura stessa di una startup. Com questo articolo vogliamo spiegare quale accezione di questo termine utilizziamo.

Stefano VernaHead of DatoCMS

Cosa è una startup?

Nel senso più ampio possibile, una startup è un’organizzazione impegnata a costruire qualcosa di nuovo, in condizioni di estrema incertezza.

Da questo punto di vista, la classica startup composta da tre ragazzi rinchiusi nello scantinato di papà non si discosta poi molto dalla divisione di una grande azienda chiamata a progettare una nuova linea di prodotti per un mercato ad essa sconosciuto.

La chimera del successo

Qual’è la formula per un prodotto IT di successo?

Abbagliati dal mito dell’imprenditore visionario — colui in grado di portare un progetto alla meta supportato solo dalla propria capacità di intuizione — questo è l’iter che spesso viene portato ad esempio:

  1. Individuzione di un problema o bisogno da soddisfare
  2. Preparazione un dettagliato piano d’investimento/business plan
  3. Ricerca di finanziamenti ed eventuali partnership
  4. Realizzazione del progetto, completo di ogni funzionalità
  5. Rifinitura maniacale del prodotto in ogni dettaglio, in preparazione al prime-time
  6. Lancio ufficiale

La realtà è che circa il 90% delle startup fallisce, e la strategia appena descritta è una delle cause principali di questo drammatico stato delle cose.

Dopo infinite discussioni con gli investitori, mesi di sviluppo ed enormi investimenti, il povero imprenditore, al lancio del suo prodotto, scopre spesso uno scollamento totale tra lo scenario ipotizzato e la realtà: il mercato non risponde come sperato, gli utenti faticano a capire la value proposition del prodotto, metà delle “indispensabili” funzionalità implementate non vengono minimamente usate...

Al contempo, sembrano invece emergere comportamenti totalmente inattesi da parte degli utenti, che esprimono richieste di sviluppo in direzioni assolutamente non considerate! _"Sarebbero spunti molto interessanti da perseguire" — _ si sente dire — se non fosse per il fatto che il budget è ormai agli sgoccioli e tutto quello che è possibile fare è assistere inermi all’enorme spreco di tempo e denaro avvenuto.

Cosa è successo?

Percentuali di insuccesso così alte e il continuo ripetersi dei medesimi errori, non possono che far pensare ad un problema sistematico: la classica strategia imprenditoriale prestata dal mondo industriale, non è evidentemente in grado di servire un contesto operativo come quello delle startup, che vive appunto per definizione in “condizioni di estrema incertezza”.

Il classico _business plan_, per quanto dettagliato, è uno strumento totalmente inadeguato a modellare la moltitudine di variabili in gioco in questo contesto e permetterci di valuatare un investimento ad alto rischio di questo tipo.

Il momento di “estrema incertezza”, è il momento meno indicato per prendere decisioni ad alto rischio.

Lean Startups

Nel 2008, Eric Ries, dopo anni di esperienze nell’ambiente startup californiano sia come dipendente che fondatore/advisor di startup, vivendo in prima persona il fallimento di numerosi progetti — nonostante la buona qualità del software e delle idee sottostanti — ha dato vita ad un “movimento” chiamato Lean Startup, formalizzato poi in un libro omonimo, con l’obiettivo di trovare una strategia di sviluppo alternativa che meglio si adattasse alle caratteristiche peculiari delle startup.

Validate value and growth hypothesis

Lean Startup si basa su questo assunto: date le estreme condizioni di incertezza, lo scopo di una startup non è ancora quello di produrre software, fare soldi o servire clienti, bensì quello di validare le ipotesi che riguardano il suo valore offerto, la sua potenziale recettività e crescita.

Solo a quel punto, con un modello di business meno incerto tra le mani, sarà possibile tornare a sfruttare strumenti convenzionali come il business plan per valutare una crescita verosimile nel tempo.

Salti nel vuoto vs Approccio scientifico

La svolta del movimento Lean è stata proprio quella di applicare il classico ciclo empirico di “ipotesi, tesi e dimostrazione”; abbandonare la visione della startup come una “scommessa” basata sul “naso” dell’imprenditore, in favore di un approccio scientifico, basato su esperimenti, seppure in piccola scala, e misurazioni oggettive.

Non importa quanto possiamo essere sicuri della bontà della nostra idea: il primo passo obbligatorio è trovare il modo più veloce ed economico di presentarla al suo potenziale pubblico per verificare il grado d’interesse che produce e catturare il prima possibile un feedback utile.

La visione iniziale che spinge l’imprenditore a perseguire un’idea, non è che il punto di partenza di un processo di scoperta. Sulla base dei feedback ricevuti dal mondo reale, potrà modificare e raffinare continuamente l’ipotesi stessa, producendo, come risultato finale, un prototipo di business sostenibile basato su dati e valutazioni concrete e riducendo drasticamente l’incertezza iniziale.

Il ciclo Lean

L’approccio Lean predica l’applicazione di **brevi cicli iterativi e incrementali** finalizzati alla **produzione di piccoli esperimenti** continui che verifichino sul campo tutti gli elementi che compongono la _vision_ di un prodotto. L’unità di misura del progresso di una startup non è quindi il guadagno, ma l’acquisizione di **conoscenza validata sul campo**.

I passaggi fondamentali del ciclo Lean sono i seguenti:

  1. Definizione di un singolo obiettivo
  2. Definizione di una metrica oggettiva che rappresenti l’obiettivo (numero di visite, numero di iscritti alla mailing list, numero di approdi alla pagina finale di un funnel, etc.)
  3. Costruzione del minimo prototipo in grado di permetterci di eseguire l’esperimento
  4. Esecuzione dell’esperimento
  5. Analisi della metrica risultante

La fase 3 prende il nome di Minimum viable product (MVP), e rappresenta appunto il modo più rapido per passare attraverso al ciclo di produzione-misurazione-conoscenza, con il minimo sforzo possibile.

Più brevi e rapidi sono i cicli — dunque più piccolo è l’MVP da realizzare — minori saranno gli sprechi e maggiore sarà il progresso risultante per la startup.

Ci si sposta quindi dall’utilizzare il "mese" come unità di misura per stimare lo sviluppo di un prodotto completo, alla "giornata/settimana" per realizzare un MPV.

Il lusso di poter cambiare strada in tempo

Al termine di ogni ciclo di produzione e misurazione, ciò che si ottiene, a prescindere dal successo o meno dell’operazione, è una nuova conoscenza validata sul campo.

Ma cosa avviene quando ci si rende conto che una determinata ipotesi non funziona?

La storia dimostra che raramente la strategia iniziale intrapresa da una startup sarà quella che la porterà al successo. Prodotti che usiamo tutti i giorni come Flickr, Youtube, Groupon o Twitter sono nati “per fare una cosa” e si sono trasformati in tutt’altro (per i più curiosi, ecco la loro storia).

Pivot: a drastic change in strategy without compromising the vision

Il pivot è uno dei momenti fondanti e naturali di una startup Lean e rappresenta proprio il momento in cui, ottenuto un livello di conoscenza validata maggiore, si decide di modificare drasticamente strategia, mantenendo costante la visione originale.

Il prodotto, dunque, si adatta costantemente per permettere nuovi esperimenti a restando un derivato “secondario” del processo.

Perché consigliamo questo approccio a chi vuole fare una startup

“Non abbiamo i soldi per sviluppare il fantastico prodotto che abbiamo in mente, ma siamo certi che sia vincente; noi abbiamo il polso della situazione, voi avete le competenze tecnologiche per sviluppare l’applicazione. Investite con noi, tra due anni saremo tutti ricchi!”

Questo è un "mantra" che sentiamo ripetere a molti potenziali clienti stratupper che vengono a chiedere un tipo di partnership che non vediamo così necessaria come credono. Partire da un prodotto minimo che possa dare risultati a breve termine, oltre ai benefici descritti, significia in primis ridurre gli investimenti iniziali, significa “poterselo permettere”, significa non sprecare soldi utili per gli sviluppi futuri. Significa, inoltre, non doversi legare a partnership tecnologiche, lasciando aperta la possibilità di sviluppi interni solo quando si verifichino le condizioni adeguate e quindi una effettiva necessità.

Come agenzia, ci interessa moltissimo fare prodotti di qualità e poter raccontare storie di successo. Un grosso prodotto che "muore" in poco tempo, non è certo di successo e non è una bella storia da raccontare. Preferiamo allora far spendere meno e aiutare i clienti nel verificare le loro idee, convinti che questo possa portarli ad avere *situazioni più solide e durature nel tempo *.

Questo rende più facile creare insieme delle storie di successo. Ci piace moltissimo la filosofia per cui: funziona bene se funziona per tutti!