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23 gennaio 14

Sognando su Flowdock

Anche i sogni hanno bisogno di organizzazione. Anche i sogni devono sapersi raccontare in un flusso di comunicazione organizzato.

Matteo PapadopoulosMembro del CDA

Il talk Dreaming di Andrea Provaglio all’ultima edizione di Better Software è stato decisamente interessante: mi aveva colpito molto la descrizione di un possibile modello di organizzazione aziendale pro-attivo sviluppato intorno ai concetti di sogno, ordine e azione.

Il sogno inteso come proposito, mission, visione; come propulsore in grado di definire l’ordine, i ruoli, le funzioni e i protocolli necessari per compiersi con nitidezza. L’ordine che genera azione, produzione effettiva di valore: i risultati, positivi o negativi, possono portare alla conferma o alla ridefinizione del sogno stesso.

Provaglio aveva suggerito che il peso delle tre aree concettuali può variare sensibilmente da azienda ad azienda, sbilanciandosi su una delle dimensioni invece che su un altra.

Sognando in Cantiere

Per Cantiere Creativo gli ultimi due anni sono stati sicuramente gli anni del “sogno”: ci siamo immaginati e abbiamo deciso che cosa fare da grandi, quale direzione prendere.

In tutto questo “sognare” non è certo mancata l’azione, anzi: tanti bei lavori, tante iniziative e tanti nuovi arrivi nel nostro team. Nel 2014 dobbiamo necessariamente mettere un po’ di ordine: ciò che potevamo permetterci quando eravamo in cinque sta un po’ stretto oggi che siamo in tredici. E, come spesso accade, il primo problema da affrontare riguarda la comunicazione, sia interna sia con i clienti.

Quanti strumenti sfruttiamo quotidianamente per trasmetterci informazioni volatili? Voce, telefono, email, Skype, Google Hangout, Gtalk, HipChat...

Avere tanti strumenti per comunicare crea il rischio che l’informazione non arrivi a chi di dovere, che si perda nel rumore di fondo. Per un team piccolo non risultava un grosso problema sfruttare più canali: c’era sempre il vis a vis a colmare i possibili gap.

Con l’aumentare delle persone però - e considerando che alcune di queste lavorano al 100% da remoto - abbiamo ritenuto fondamentale trovare uno strumento unico da utilizzare per poter parlare, scherzare e fare gruppo, condividere dubbi, conoscenze e scoperte, mantenendo coinvolto tutto il team, un team che aumenta perché aumentano i progetti e, al contempo, aumentano le problematiche da gestire con i clienti.

Comunicare nell'Extreme Programming

Uno dei requisiti dell’Extreme Programming è che il cliente sia sempre disponibile. Non possiamo pretendere che il cliente sia presente in ufficio tutti i giorni, quindi lo strumento dovrebbe darci la possibilità di poter creare contesti separati per ogni progetto, in modo che il team applicato e il cliente possano comunicare quotidianamente. Un luogo in cui l’informazione rimanga fruibile e disponibile nel tempo.

Il primo pensiero è andato dritto a HipChat, piattaforma che abbiamo felicemente utilizzato per un paio di progetti.

Abbiamo iniziato a valutare strumenti simili, ma personalmente ho mantenuto viva la preferenza per questo software guardando con sospetto ogni possibile alternativa: beata flessibilità mentale!

HipChat ha un sacco di elementi positivi: in Cantiere c’è chi usa Linux, chi usa OSX, chi Windows, e HC è multipiattaforma; le app Android e iOS funzionano bene e sono disponibili molti hook per fare integrazioni con i servizi che ci interessano: git, heroku, CI.

Inoltre, l’amico Rasky ha sviluppato un connettore verso Trello, nostro fedele tool di gestione progetti. Per le nostre esigenze però non sembra essere abbastanza.

La mancata possibilità di gestire più contesti è un punto critico: puoi creare stanze multiple ma tutte all’interno di un’unica organizzazione senza rendere possibile l’isolamento tra i differenti progetti.

Ma in genere nessuno vuole che il cliente “A” veda il cliente “B”... Ogni membro del team era costretto così a registrare più account HipChat con differenti indirizzi mail, uno per cliente, effettuando logout/login ogni volta per cambiare contesto. Improponibile.

Superando HipChat

Abbiamo quindi valutato altri prodotti ma, alla fine dei conti, quelli che ci sono sembrati più interessanti per le nostre esigenze sono stati Campfire e Flowdock.

Campfire, anche se progettato bene, non ci ha convinto molto ed è stato scartato abbastanza velocemente. Lo abbiamo valutato per rendere onore al fatto che è stato il primo servizio di questo genere che, in qualche modo, ha fatto scuola.

Flowdock, nonostante il costo più alto di tutti gli altri, ci ha incuriosito. Abbiamo eseguito un test di un mese con cinque persone prima di adottarlo definitivamente come strumento di comunicazione ufficiale.

Perché Flowdock

I primi due giorni di test li ricordo come abbastanza traumatici. Flowdock si presenta con una visuale divisa in due parti che costringe a un utilizzo a tutto schermo: il lato sinistro raccoglie tutte le notifiche che arrivano dai vari servizi esterni configurabili, il lato destro contiene la chat vera e propria. Un po’ strano...

L’applicazione OS X, così come quelle Android e iOS, non sono altro che un incapsulamento del sito, e questo ci ha fatto temere sulla fluidità. Le app mobile erano mitragliatrici di notifiche.

Tutto questo con un 30% in più di costo: HipChat era ancora in testa nella mia classifica!

Poi, superato l’impatto, abbiamo imparato ad apprezzare la scelta della UI e le altre funzionalità di questa piattaforma chat.

Fidarsi del Flow

Le stanze sono chiamate “flow”; ognuno dei quali è un mondo a sé, con i suoi utenti, i suoi hook. L’integrazione con Trello è totale: ogni flow può essere agganciato a una o più board, notificando ogni update.

Lo stesso per gli altri servizi esterni che tipicamente compongono il nostro stack di sviluppo: GitLab, Errbit, Heroku, Pivotal Tracker e Magnum CI.

È possibile anche collegare account social: sul flow interno del reparto marketing, per esempio, abbiamo agganciato il nostro account Twitter, che così viene monitorato costantemente.

Il flusso della chat non viene mai “sporcata” dalle notifiche, cosa che invece avviene in HipChat.

Siamo così liberi di poter mettere tanti hook (e quindi tante notifiche) senza mai perdere in leggibilità.

Una Chat con i thread e con i tag

Altra feature vincente: i thread all’interno della chat. Quando ci sono tante persone a scrivere, le discussioni si accavallano e generalmente capita di confondere chi sta rispondendo a chi.

Flowdock però permette di scegliere la frase a cui vogliamo rispondere, trasformando la parte sinistra in una discussione che ha un unico filone, mentre sulla destra il flusso continua a essere completo.

Una volta presa dimestichezza, è veramente utile!

Così come lo sono i #tag che si possono mettere nei nostri messaggi, permettendo così una ricerca rapida in futuro.

Il resto delle funzionalità di HipChat ci sono tutte: possibilità di citare *@stefano che riceverà quindi una notifica che qualcuno lo cerca, invece di *@everyone per avvistare tutti o @anyone per attirare l’attenzione di chiunque sia online in quel momento.

Non mancano la possibilità di chat 1-to-1, lo storico dei link, delle immagini, degli allegati. Il timore di mancanza di fluidità non ha poi trovato riscontro: il sito funziona maledettamente bene e, nel frattempo, le applicazioni mobile sono diventate native al 100%, con tutti i benefici in termini di fruibilità e reattività.

Avanti tutta con Flowdock

Siamo entusiasti della nostra scelta che alla fine è risultata ottima. Non tutti lo amano, soprattutto chi non ha modo di starci quotidianamente. Ma bastano poche “ore di volo” per avere la dimestichezza necessaria.

Sappiamo sempre come e dove trovare @qualcuno e lasciargli eventualmente un messaggio che leggerà appena possibile, possiamo allinearci con il team leggendo le discussioni avvenute in nostra assenza e controllare le notifiche dei vari servizi senza dover tenere aperti altri cinque software o tab del browser.

Unico attuale neo: il costo di €3 mensile per utente è accettabile per il servizio offerto, ma dover pagare due volte per ogni utente per ogni nuova organizzazione in cui ha accesso aumenta i costi notevolmente! Ben volentieri paghiamo per includere gli account dei nostri clienti ma, se abbiamo già pagato per @stefano come membro di Cantiere che a sua volta genera un’organizzazione “Progetto XX”, perchè dobbiamo pagare nuovamente per @stefano?